2 interventi, saltando a piedi pari un giorno della tua esistenza.
Dicono che hai rischiato la vita in quella notte dopo la prima operazione, dove ti
lamentavi per il dolore di un'emorragia interna. Ma i ricordi sono ancora troppo offuscati
per rammentare con esattezza ogni dettaglio, ed è anche colpa della morfina. Restano le
cicatrici coperte dalle garze, il catetere, il sondino,.. a ricordare ciò che è stato.
Passano giorni lenti dove sono le visite di un'estranea la ragione per cui vuoi uscire da
quel letto, lei che è entrata nella tua vita quasi per caso.
Ritrovi amici che non vedevi da mesi ed altri che conosci da una vita, alcuni con lo
sguardo che parla chiaro di come devi essere messo, altri troppo forti o troppo orgogliosi
per rimanerci male e che sorridono come se foste davanti ad una birra a parlare di
stupidate.
La morfina causa incubi spaventosi, hai paura a dormire. Hai anche paura a rialzarti, a
camminare.. è come reimparare a fare il più piccolo dei movimenti. Ma lo fai, ci provi,
combatti il tuo corpo con dolcezza perché irrigidirsi significa altro dolore ed il tuo
addome non ne sopporta più, non ancora, non adesso.
E succede che ti avvicini ad un uomo di mezza età per una partita a carte, per passare
insieme un pò di tempo, per allegerire ad entrambi quei giorni eterni: già, la stessa
persona che quando entrò in quella camera d'ospedale bollasti con un "che stronzo" per come
trattava la moglie e le infermiere, senza sapere i suoi problemi.
Tuo nonno, che ti racconta ridendo un episodio della sua giovinezza.. e tu che inizi a
ridere con la pancia che fa male per quel drenaggio che attraversa i visceri come una
lama.. ti accorgi del suo sguardo triste, senti una lacrima sulla guancia.. "Dovresti
ridere di più. Sei bello quando ridi, nonno".
Di nuovo le sue mani, lei. Non la conosci, siete praticamente estranei eppure ti sei legato
a lei. Ti perdi in quei minuti in cui è con te a fantasticare su cosa potrete fare insieme
una volta rimesso in piedi.
Esci. E' di nuovo normalità. O quasi. Passano i giorni, migliori, piano piano. Lentamente.
Non c'è fretta. Sei stato quasi un mese in ospedale.
Musica. Film. Libri. Musica. Film. Libri. Musica. Musica. Musica... e i sapori che iniziavi
a dimenticare.
Di nuovo lei. Uscite. Stai benissimo, è travolgente. E' diversa, dici. Ti senti un
adolescente con le farfalle nello stomaco. Lei propone addirittura un viaggio. Maledetta
mutua, pensi.
Ti riaccompagna a casa, perché l'auto l'ha presa lei: "Non siamo nell'ottocento e poi devi
riposarti". Baci lunghi una vita eppure brevissimi.