Pesa come piombo la tua mancanza. Mi sveglio nella notte e ti cerco nel letto, tra le lenzuola. Spesse volte spero di allungare la mano e sentire i tuoi capelli sul cuscino, o la tua mano e la tua guancia appoggiate al mio petto. Il tuo profumo riempirmi i polmoni.. il bollore della caffettiera in cucina..
A volte la voglia di normalità, di poter finalmente instaurare quella ritualità settimanale di cui abbiamo entrambi bisogno, raggiunge vette di desiderabilità che fanno male. Ma so che i fine settimana assieme ci ripagano di tutto e che i giorni, i nostri giorni, si avvicinano ad ogni nuovo sorgere del sole sempre di più. I giorni dei quali nessuno ci priverà mai.
Parole esatte da un pezzo tra i pochi entrati nel mio cuore negli ultimi anni. Scritto da un carissimo amico a cui devo tanti momenti di sorrisi e pianti, di risate ed amarezze. Tutti condivisi. Un pilastro più che una spalla.
Parole che sento descrivere bene il vuoto che provo quando TU non ci sei. E' un rincorrere i giorni, uno dopo l'altro, in attesa dei weekend e di quei lunghi momenti passati in treno o in auto dove la stanchezza lascia il posto alla voglia e il peso della giornata fa spazio al bisogno di stringerci nei NOSTRI abbracci.
Vorrei farlo anche adesso come piace a te, con le mie braccia che ti stringono e le tue mani che accarezzano e si chiudono sulle mie.. ma tocca attendere ancora qualche ora quando con l'alba i nostri sguardi si incontreranno di nuovo fuori dalla stazione.
Sole. Strada. Mare. Momenti. Occhi. Labbra. Sapore di fumo. Mani. Brezza. Il tuo profumo. Capelli al vento. Pelle. Batticuore. Abbracci. Foto. Scalini. Caffé. Semplicità. Un molo. Lucchetti. Sorrisi. Scogli. Gambe. Ridere. Pecore. Sabbia nelle scarpe. Un tramonto.
E il rumore delle onde davanti a noi che accompagna ogni carezza, ogni bacio, ogni stretta della nostra unione. Ci sono istanti in cui vorresti mettere in pausa la vita e vivere quegli attimi per sempre.
Da bambino sognavo spesso di essere piccolo piccolo, le cose attorno a me che immense, enormi, senza confini si stagliavano alte nel cielo. Un modo elegante, forse raffinato, per comunicare inadeguatezza? Può essere. In qualche modo mi sono sempre sentito fuori luogo, accadeva quasi ovunque e tutt'ora, alle volte, fatico a gestire questa voce interiore.
E poi sognavo di volare. Un po' come tutti, chi non l'ha sognato almeno una volta?
Il corpo leggero, libero, le braccia distese e le mani aperte, gli occhi chiusi e la bocca leggermente tesa per assaporare anche il gusto dell'aria. Quando ero piccolo per ricordarmi di questo sogno, quando ero in auto abbassavo i finestrini dell'auto di mia madre, una vecchia Y10, mettevo fuori la testa, aprivo la bocca.... e dicevo di mangiare l'aria.
Gli ultimi giorni mi hanno insegnato molto, gli ultimi mesi ancora di più. Eppure mi sembra di fare così tanta, troppa fatica ad imparare la lezione. Ho come l'impressione di continuare a sbattere la testa contro il muro anche dopo essermela rotta, aver visto le chiazze di sangue e sentito che fa male.
Così è successo sabato, quando su di giri ti ho ferita senza volerlo realmente. Perché dovrei farlo, poi? Con quale cognizione logica?
Tu che mi hai insegnato che per volare non ho bisogno di ali, che per sognare non devo chiudere gli occhi ma aprirli e sentire la tua pelle sulla mia, le tue labbra che si chiudono a baciarmi, il tuo profumo che mi entra dentro.
Ti conosco da anni eppure mi sembri un mondo nuovo. Un continente inesplorato in cui però mi sento a casa: riconosco i dettagli, le spiagge, gli alberi, il cielo eppure procedo con cautela. Vorrei riuscire a lasciarmi andare in una corsa a perdifiato dentro le tue terre, ad occhi chiusi. Correre, correre, correre senza fermarmi, arrivare sulla più alta delle tue vette, aprire gli occhi all'improvviso e godere di tutta la bellezza che sprigioni.
Voglio l'irresponsabilità dell'esser bambino e la consapevolezza di ora.
Voglio viverti.
E stanotte ho sognato l'altra persona che è mancata per 28 anni in me. Mi hanno svegliato le lacrime alle 05:26. Mi sono svegliato piangendo e parlando: "Mi sei mancato".
Torno stanco da lavoro, negli occhi l'avvicinarsi del weekend ed in bocca il sapore della tua lontananza.
Poi arrivi tu e basta sentirmi 5 minuti al telefono per capire che qualcosa non va.
Tu che mi conosci più di quanto non sappia io di me stesso. Mi sento nudo ma la cosa bella è che non ho paura ma solo un leggero imbarazzo a lasciarmi andare del tutto, perché non sono abituato nemmeno io a farmi sorreggere. Cosa credevi, sciocca?
Eppure ho capito che scoprire il fianco e mostrare le mie debolezze, con te, non è stato un errore.
A volte non è momento. Non è luogo. Non siamo pronti. O, più semplicemente, è mancanza reciproca di sincronia, umana o biologica non importa. Il Caso? A volte ritornano. E ripenso a quante volte ho visto quel treno attraversare a velocità pazzesca la mia stazione, in passato. Ma ora si è fermato. Io salgo. Anche senza biglietto.
Se il segreto sia questo o meno non lo so, quel che è certo è che fare il tiro alla fune con la vita (e con le persone) dopo 28 anni mi ha rotto gli zebedei.
Io ora cambio le regole del gioco, del mio gioco. Fate un po' voi.